Gli amici di Ferox

Articolo uscito il 5 giugno 2020 nel sito altitudini.it

Copertina del libro

Negli ultimi tempi numerosi blogger, documentaristi, giornalisti e case editrici, hanno incominciato con grande attenzione ad occuparsi della montagna. Parlano di vite di alta quota, in particolare di esperienze che vedono il riavvio di pratiche agropastorali e artigianali che sembravano destinate a scomparire solo pochi decenni fa. Recenti pubblicazioni letterarie hanno, inoltre, raccontato emozionanti storie di alpinismo, narrato leggende delle Dolomiti che rischiavano di andare perdute per sempre oppure descritto, anche in modo poetico, i desideri e i sentimenti genuini delle genti che vivono la montagna.

Il primo romanzo di Ferruccio Svaluto Moreolo “Il Tesoro della Grotta del Tempo” (Susil Edizioni, 2020) appartiene sicuramente a questo ultimo filone letterario.

Ma per capire il vero senso del libro, bisogna conoscere, anzi indagare, la vita avventurosa dell’autore, dove la roccia si intreccia alla scultura e alla letteratura.

Ho incontrato Ferruccio Svaluto Moreolo due mesi fa nello storico locale Bar Serenissima di Domegge.  Davanti a un buon bicchiere di vino e alle gustose cartufole del Cadore, abbiamo dialogato sulla sua vita per arrivare poi alla sua arte.

Ferruccio è un formidabile alpinista estremo. Nato a Grea, una frazione di Domegge di Cadore, dove ancora risiede, è iscritto al CAI locale e Presidente dei mitici Ragni di Pieve di Cadore.  Grazie proprio ad un corso di roccia organizzato dai Ragni quando aveva 18 anni, Ferruccio ha appreso i rudimenti della sicurezza e della tecnica e, cosa più importante, ha conosciuto i futuri compagni di cordata, con i quali poi avrebbe condiviso delle belle pagine di montagna. Arrampicatore estremo, mi spiega, “perché ogni parete che vedevo, ne immaginavo la sua salita, ma creando itinerari nuovi: così ne sono nati alcuni davvero impegnativi, al limite, almeno per il mio livello di quel momento”.

Ferox al lavoro come artista

La sua vita è caratterizzata da numerose imprese alpinistiche con vie nuove aperte in solitaria sul Gruppo delle Marmarole, sull’Antelao, sul Gruppo Bel Prà e in particolare sulla Torre dei Sabbioni e sul Corno del Doge, sulla Tofana di Rozes, sugli Spalti di Toro, sui Cadini di Misurina e sulla Croda del Passaporto. Svaluto Moreolo può vantare, inoltre, una serie invidiabile di spedizioni extraeuropee: in Nepal, in India, in Perù, in Patagonia, in Groenlandia.

Tuttavia, ce ne sono due, in periodi ben distanti fra di loro, che ama ricordare e che lo hanno gratificato: “La prima è la salita di cima Alpe Adria in Groenlandia, quando avevo solo 22 anni. Con Gianni Pais, che era anche capo spedizione, abbiamo scalato per 33 ore senza interruzione, senza riposare e tanto meno dormire. Non è stato facile ma ero aiutato dalla spregiudicatezza giovanile. L’altra salita è la Solleder Lattenbauer, in inverno e in giornata alla nord ovest del Civetta, fatta con Alex Pivirotto, guida alpina del gruppo guide Tre Cime di Lavaredo, di cui anche io faccio parte, e che considero uno degli alpinisti più completi che conosca. Questa era una salita che rincorrevo da 35 anni, e che per vari motivi non ero mai riuscito a fare. Arrivare in vetta col buio, stanchi, ma arricchiti enormemente dentro, è una delle mie pagine di alpinismo più belle”.

L’abilità nell’usare le mani per arrampicarsi, Ferruccio l’ha trasmessa anche alla scultura e alla letteratura.

La sua passione per la scultura del legno, mi fa capire, è relativamente recente, circa una ventina d’anni fa. “In famiglia, c’era il nonno che faceva il falegname e il babbo che amava il bricolage, e forse… ho preso da loro. Ho sentito la voglia di creare più o meno nello stesso periodo in cui ho cominciato ad avere dei problemi di salute.”

Ecco che si illumina nel raccontarmi quello che prova quando si appresta a creare dal legno: “L’emozione è grande sia prima di cominciare a scolpire, dove ti immagini cosa vorresti far uscire da quel materiale plasmabile e apparentemente senza vita, sia nelle fasi successive. Il rapporto con il legno è strano, sembra che abbia un’anima.  Su richiesta della mia compagna ho cominciato ad intagliare su un pezzo di cirmolo un Cristo ed è successa una cosa imprevedibile. Il legno esteriormente sembrava un bel pezzo ma poi finita la sgrossatura sono cominciati i problemi: non riuscivo a scolpire le braccia che continuavano a rompersi. Non parliamo poi delle dita delle mani. Sta di fatto che ne ho creati di Cristi ma questo è uno di quelli peggio riusciti, al limite dell’abbandono. Sembrava che questo Gesù, non volesse saperne di uscire da quel tronco, quasi si sentisse impotente davanti ad una situazione così disastrosa. Quindi ho pensato faccio una “Madonna”, questa volta proviamo con il noce più duro e compatto. Anche se è la prima volta che faccio questo tipo di scultura… non ci dovrebbero essere problemi. Invece anche in questo caso non riuscivo ad andarne fuori, mentre intagliavo, una volta sembrava che i suoi occhi avessero lo sguardo satanico, una volta sembrava un uomo, alla fine qualcosa è uscito, non certo quello che volevo. Ecco, ho avuto la chiara sensazione che il legno ha un’anima ed è difficile andare contro il suo volere”.

La stessa passione che Ferruccio prova nel lavorare il legno la sente anche quando si appresta a scrivere una poesia o un libro.

“L’amore verso la scrittura l’ho sempre avuto, ma in questi anni ho sentito il desiderio di condividere con tutti le mie fantasie, le mie emozioni e magari raccontare delle situazioni che si possono più facilmente dire scrivendo piuttosto che a tu per tu con le persone. Io penso che ogni poesia scritta, ogni racconto detto, sia un veicolo per conoscerci meglio.  In questi casi, un qualcosa di noi scende dalla nostra mente lungo il nostro braccio e si perde su un foglio o su di una tastiera tradendo, o scoprendo, una piccola parte noi”.

Penso che il suo ultimo libro, “La Grotta del Tempo”, contenga una parte forse nemmeno piccola di Ferruccio.

Il suo romanzo è un bel libro, scorrevole e poetico. Racconta la storia del montanaro Matteo, innamoratissimo della moglie Iole e felicissimo della nascita della figlia che chiamerà “Dea, la principessa del vento”. Una vita tranquilla per Matteo fino al casuale ritrovamento, nel bosco, di un ceppo di noce, custode di un’antica pergamena riportante le indicazioni per raggiungere una misteriosa grotta del tempo. La narrazione è ricca di spunti efficaci e di momenti genuini ed intensi che ricordano le passioni care al nostro autore. Nei “segreti del tempo” si nascondono sentimenti, esperienze di vita, amori, vendette, desideri e pentimenti. Tutto sembra fantasia ma talvolta anche la fantasia può essere realtà.

“Penso che tutti abbiamo dei segreti che custodiamo a volte gelosamente – mi conferma Svaluto Moreolo – e nel mio viaggio descrivo la vita di una persona semplice che si trova ad affrontare un viaggio fantastico, dove questa nuova esperienza di vita gli fa capire che non occorre andare chissà dove a cercare l’isola che non c’è, ma che i valori che contano sono da sempre, la famiglia e il volersi bene”.

Una cosa è sicura, nel mondo reale o fantastico del nostro alpinista, la montagna ha un ruolo sempre principale.

“La montagna per me è stata tutto: madre di vita, a volte donna irraggiungibile, dispensatrice d’amore e di sofferenza. Compagna nel lavoro e ora vissuta più serenamente di un tempo, ma sempre protagonista della mia esistenza”.

Mencini Giannandrea