Storie di Alberi

storie di alberi

Articolo uscito sul Gazzettino, il giorno 11 novembre 2017

Un viaggio attraverso la memoria e la vita di un territorio, a partire da un grande olmo “l’Alberòn”, abbattuto dal vento e attraverso le storie di pioppi, tigli, ippocastani, che ne hanno viste di cose e che le possono raccontare. Alberi segni di una comunità, quella del paese di Tomo, nel feltrino, e simboli di storie che hanno accompagnato intere generazioni divise tra il forte legame alla propria terra e la necessità di andare altrove.  “Storia di alberi e della loro terra”, ultima fatica letteraria per la Marsilio di Matteo Melchiorre, è un libro intenso e talvolta ironico, dove la ricerca storica si fonde con i ricordi e le emozioni dell’autore feltrino . Il libro, che riprende una datata pubblicazione di Melchiorre “Requiem per un albero. Resoconto dal Nord Est”, si sviluppa attraverso una narrazione leggera, incisiva e, dal punto di vista storico, coinvolgente. Come nel suo originale e fortunato volume “La via di Schenèr. Un’esplorazione storica nelle Alpi” (Marsilio, 2016), Melchiorre in “Storia di Alberi” si affida  alla sua abilità storica per indagare la memoria dei luoghi, trovarne le radici, raccontarne gli aneddoti.

Matteo,  perché hai sentito la necessità di riprendere in mano il libro “Requiem per un albero” scritto tanti anni fa e tornare a parlare dell’Alberòn di Tomo?

Per parlare di altri alberi che hanno scritto, nel frattempo una loro storia. Sono alberi vari: un pioppo, una farnia, un tiglio, un bagolaro e così via. Ma il punto era trovare la logica complessiva di un tema che a mio giudizio va ben al di là dell’Alberón in sé e per sé. È il tema del radicamento e dello sradicamento, di come ci si può sentire radicati in un luogo e al tempo stesso trascinati dalla cultura dominante a sradicarsi. È la cifra della mia generazione.

L’antico olmo, come tu scrivi, era un albero “monumentale” del paese ma non “secolare” o importante come altri, eppure è rimasto nell’immaginario collettivo di una intera comunità, per quale motivo storico e sociale ?

I motivi potrebbero essere tanti. Ne dirò solo uno: perché era il simbolo di una comunità che si stava trasformando, che si stava assottigliando. E il vecchio olmo funzionava un po’ da oggetto di memoria collettiva.

Nel libro parli delle diverse rogazioni di una volta che caratterizzavano la vita del paese, cogliendo così l’occasione per descrivere un ambiente rurale e agricolo che oggi non c’è più, cos’è cambiato?

A Tomo, in realtà, l’ambiente rurale si è mantenuto ancora oggi. Sono cambiate le dinamiche della convivenza, e anche il rapporto con la terra, la testa delle persone. Ma il paesaggio, a Tomo, è cambiato poco. Questa è una fortuna.

Affermi che a Tomo si è costruito poco, il paese si  è salvato da pericolose lottizzazioni, ma a Rasai, Pedavena, Feltre, Fonzaso, secondo te non è andata così, non avevano un vecchio olmo da difendere ?

È una cosa misteriosa. Ogni comunità si identifica in qualcosa, se questo è un bene o un male non lo so. Ma altrove, negli anni Ottanta, Novante e inizio Duemila, l’elemento identitario era lo sviluppo urbanistico.

Sulla base delle tue ricerche, il continuo consumo di suolo sta facendo perdere la memoria storica del nostro paesaggio naturale e culturale?

Assolutamente sì. Però non direi “sta facendo perdere la memoria storica”. Ormai le cose sono finite: “ha fatto perdere la memoria storica”. Rimangono le rievocazioni, che a mio parere sono esattamente una certificazione di morte avvenuta.

Leggendo  il libro mi ha incuriosito l’affermazione “..il nemico giurato dell’Alberòn e del paese di Tomo è il nord-est…” cosa intendi dire ?

Intendevo dire che, a mio modo di vedere, la salvezza di Tomo stava proprio nel fatto che il Nord Est (questa categoria onnivora, e ora entrata in crisi) stesse alla larga dalla comunità.

Quale legame esiste fra la vita degli uomini e la vita degli alberi?

Dipende dalle persone, dai caratteri, dagli sguardi. Ma dei legami ci sono, ci sono e i documenti storici ne sono pieni. Personalmente non faccio il tifo per gli alberi retorici, ma per gli alberi veri, materiali, densi. Nel caso della storia narrata in questo nuovo libro, tuttavia, il legame tra la vita degli uomini e quella degli alberi è una metafora: radicamento e sradicamento, il che significa, in una prospettiva di sociale, sopravvivenza dei luoghi o morte dei luoghi.

Giannandrea Mencini