L’esercito delle “portatrici” del Cadore

Articolo uscito sul Gazzettino del 12 novembre 2019

Marinella Piazza vive a Valle di Cadore nel bellunese, in una vecchia casa ricca di ricordi che guarda i boschi e le cime dolomitiche. Donna vigorosa e genuina, si definisce “montanara e orgogliosa di esserlo” ed è legatissima al suo territorio e alle sue tradizioni che troppo spesso vengono dimenticate. Il Cadore è ricco di storie che raccontano com’era difficile e faticosa la vita in queste vallate immerse fra i boschi e le rocce, storie emozionanti delle quali troppo spesso se n’è persa la memoria. Marinella a metà giugno, complice l’adunata triveneta dei suoi amatissimi Alpini a Tolmezzo (UD), ha voluto visitare alcuni luoghi della Prima Guerra Mondiale, sentieri che dal passo di Monte Croce Carnico raggiungono Casera Pramosio lungo il fronte della Grande Guerra: un vero e proprio museo all’aperto in una zona che vide aspri combattimenti fra italiani e austriaci. Lungo il sentiero, nei pressi di passo Pramosio, Marinella ha incrociato la targa che indicava il luogo dove la “portatrice” Maria Plozner Mentil, nel febbraio del 1916, venne colpita a morte da un cecchino austriaco, appostato a circa 300 metri, a Malpasso di Pramosio, sopra Timau. Aveva 32 anni, quattro figli che l’aspettavano a casa e il marito impegnato sul fronte del Carso. Le portatrici carniche, come la povera Maria Plozner, operavano volontariamente ed erano una forza di supporto ai combattenti al fronte. Con le loro gerle in spalla, spesso attraverso pendenti e faticosi sentieri, portavano viveri e munizioni con carichi di 30-40 e più kg e la loro età variava dai quindici ai sessant’anni. Il Museo della Grande Guerra di Timau (frazione di Paluzza, Udine) ha voluto opportunamente ricordare il sacrificio di queste donne che venivano compensate con una lira e cinquanta centesimi a viaggio, equivalenti a circa 4 euro odierni. Marinella, davanti alla targa in ricordo dei Maria Plozner, ha accostato il suo “pistoc” (termine dialettale per indicare un bastone dove appoggiarsi) del 1917 che molto spesso l’accompagna nelle sue escursioni con la bandiera della Magnifica Comunità di Cadore, ha scattato emozionata qualche foto e ha incominciato a riflettere e a porsi qualche domanda. Perché le donne della Carnia hanno visto il riconoscimento, seppur tardivo, della loro opera mentre l’attività delle donne bellunesi è poco descritta e per nulla riconosciuta? Perché non si conosce quella parte della storia della prima guerra mondiale che le ha viste protagoniste per il bene dei loro figli a costo di sacrifici indicibili? Così Marinella ha deciso che anche le vallate bellunesi dovevano recuperare dall’oblio in cui erano finite, le storie delle donne del Cadore che erano state protagoniste nella Grande Guerra. Tornata a casa, Marinella ha contatto gli amici del Gruppo Alpini Comelico Superiore e in particolare il capogruppo Marco de Martin Pinter chiedendo se in occasione del tradizionale pellegrinaggio del 7 e 8 settembre al Passo della Sentinella nell’alta Val Popera, luogo di diversi scontri militari e di gesta eroiche, potesse trovare posto anche una rievocazione storica delle portatrici bellunesi. Dopo l’entusiastico apprezzamento degli alpini all’idea, per Marinella e i suoi famigliari è iniziato il lavoro di “ricostruzione” della memoria. E’ partita una ricerca che dapprima ha riguardato l’attività delle donne in prima linea dove in mezzo al pericolo portavano ai soldati munizioni, granate, pali e filo spinato. Poco si conosce ed è rimasto nella memoria collettiva, tuttavia grazie all’iniziativa dell’associazione “La Stua” di Casamazzagno in Comelico, si sono potute recuperare alcune interviste come quella di Addolorata Martini Barzolai che spiegava come nel 1915 le autorità italiane reclutarono le “portatrici” dato che il Comelico era in piena zona di guerra. Addolorata a soli 12 anni per aiutare la sua povera famiglia incominciò faticosamente a trasportare al fronte le granate. La sua testimonianza ha aiutato così a capire i carichi che le donne coraggiosamente portavano lungo ardui sentieri. Mentre, grazie alla passione fotografica dell’allora giovane architetto Alberto Alpago Novello del genio civile militare che dirigeva i lavori in varie località montane del bellunese, si è potuto osservare che lungo la cosiddetta “linea gialla” più distante dal fronte, le “portatrici” trasportavano sassi, sabbia, tavole di legno per costruire strade militari e forti, che oggi in estate nelle nostre escursioni attraversiamo o visitiamo spesso ignorando lo sforzo fatto da queste incredibili donne. Avviata la ricerca e in vista dalla rievocazione storica, si è passati a ricostruire l’abbigliamento delle “portatrici”. Marinella nella sua vecchia “lòda” di casa (termine dialettale per indicare un atrio dove si aprono le porte delle camere) ha creato una sorta di sartoria con tavoli, due macchine da cucire, stoffe fili, bottoni… e con altre donne della vallata corse con entusiasmo in suo aiuto ha creato i vecchi indumenti dell’epoca, addirittura le originali “scarpet” grazie alla tradizione tenuta ancora in vita dalle donne di Cibiana di Cadore. L’8 settembre si è svolta finalmente la prima rievocazione storica in onore delle portatrici bellunesi con tante donne provenienti dalla Carnia, dal Comelico, dal Cadore e dal Zoldano, che hanno sfilato emozionatissime a Padola. Ora Marinella è riuscita a fare “rete” nelle diverse vallate e tante persone sono impegnate a recuperare memorie e ricordi delle donne in guerra anche per trasmettere antichi valori alle nuove generazioni. Inoltre, è nato da poco un interessante gruppo Facebook “Le portatrici” per raccogliere e condividere foto e testimonianze su queste straordinarie storie che, come ha scritto l’alpinista e scrittrice cadorina Antonella Fornari, “si leggono intensamente ma che poi soffiano via come le loro difficili vite, come la brezza leggera contro le finestre del cuore per poi spalancarle sui mondi remoti: i mondi e le piccole storie delle donne dei monti, delle donne della guerra”.

Giannandrea Mencini

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