Il sito di Mondeval in completo abbandono

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Articolo uscito il giorno 9 settembre 2016 sul Gazzettino ed. Belluno

In questa bella estate sono stati tantissimi gli escursionisti che dal passo Giau (BL) attraverso l’alta via n. 1 delle Dolomiti hanno raggiunto la forcella omonima a 2360 m. di altezza per spingersi nella splendida piana di Mondeval de Sora. Poche ore di cammino per immergersi in un biotopo di grande valore naturalistico e paesaggistico, come ricorda un pannello illustrativo ubicato in cima alla forcella Giau, sovrastato dai “Lastoi de Formin”. Questo pianoro situato tra 2150 e 2350 m di altezza, è quasi interamente compreso nel Comune di San Vito di Cadore, una minima parte rimane nel Comune di Selva di Cadore. Molti di questi escursionisti salgono fin qui per raggiungere un sito archeologico di grande importanza e conosciuto in tutto il mondo, un sito che viene ricordato anche nelle indicazioni dei sentieri.

Durante una lunga campagna di scavo archeologico, iniziata nel 1985 dall’Università di Ferrara sotto la guida dell’archeologo Antonio Guerreschi, promossa da una segnalazione di Vittorino Cazzetta, venne alla luce nel 1987 una sepoltura mesolitica. Sotto un grande masso erratico, ubicato nelle vicinanze dell’attuale Malga Mondeval de Sora (2158 m), fu scoperta la tomba di un cacciatore preistorico vissuto circa 7500 anni fa. Accanto allo scheletro, perfettamente conservato in posizione supina, oltre 40 reperti in ottimo stato: oggetti che gli erano stati utili in vita.

Una scoperta di portata mondiale, di grande valore storico-scientifico, grazie al perfetto stato in cui si trovava lo scheletro del cacciatore preistorico e l’alta quota in cui venne rinvenuta la sepoltura. L’aspetto più paradossale è che malgrado l’importanza della scoperta, chi arriva fin qui si trova di fronte ad un anonimo masso dolomitico chiuso da un recinto pericolante, costruito per impedire che le pecore della malga vicina vadano a pascolare nel sito, con due cartelli arrugginiti arancioni della Sovrintendenza Archeologica del Veneto appoggiati sul terreno che indicano il divieto di accesso e di scavo. Nessun pannello illustrativo che spieghi agli escursionisti l’importanza del luogo, cosa è stato scoperto e una minimale ricostruzione dello scavo. Il nulla. Non si trova nemmeno l’informazione più importante ovvero che lo scheletro si trova nel bel Museo Vittorino Cazzetta a Selva di Cadore dove si possono ammirare i reperti rinvenuti con specifiche descrizioni. Ancora un esempio di mancata valorizzazione del territorio bellunese e delle sue incredibili ricchezze, in questo caso, archeologiche.

Giannandrea Mencini