Da Mogliano a Valle di Cadore per far rivivere il vecchio borgo di Damos

Articolo uscito sul Gazzettino del 28 settembre 2021

Giacomo Zangrando e i suoi “fiori fritti”

In una montagna che continua a spopolarsi, dove spesso mancano diversi servizi, infrastrutture ed interi paesi vengono abbandonati con la conseguente perdita di antichi valori e tradizioni, esistono nuovi pionieri della montagna che decidono di resistere e di tornare a vivere in pendenza. È la storia della famiglia Zangrando che da Mogliano Veneto in provincia di Treviso ha deciso di riscoprire le proprie radici familiari e di ritornare a Damos in Cadore, piccola frazione in provincia di Belluno decidendo non solo di ricucire il proprio passato, ma compiendo un atto “rivoluzionario”: far rivivere il piccolo paese ormai senza più abitanti e iniziando, con coraggio, anche un’attività agricola e restaurando l’antica casa di famiglia andata distrutta da un incendio nell’agosto del 2015.

Damos è un suggestivo borgo situato sul confine dei comuni di Valle e Pieve di Cadore, a 750 metri di altitudine, cresciuto intorno alla chiesetta dei Santi Andrea e Giovanni immersa nel silenzio della montagna. Il sito non è proprio facile da raggiungere, per dire che non è proprio tra i percorsi turistici abituali. In auto ci si può accedere per una strada carrabile, in buona parte asfaltata, che si stacca dalla statale 51 Alemagna, una cinquantina di metri dopo il Ponte Cadore non distanti dal bivio di Tai. A piedi, il posto si raggiunge da Valle di Cadore dopo una piacevole e panoramica passeggiata lungo l’antica via Romana, transitando per il ponte di Rualan. Damos è anche luogo ricco di storia con vicende e culture tramandate nei secoli, grazie all’arteria romana percorsa nei secoli da mercanti, viandanti, soldati e pellegrini, che valicavano questo ripiano posto alle pendici del monte Zucco nei millenari scambi tra montagna e pianura. Qui, secondo la tradizione si svolse la battaglia tra le truppe veneziane, imbottite di montanari cadorini, comandate da Bartolomeo d’Alviano, e le truppe imperiali di Massimiliano d’Austria. Uno scontro leggendario avvenuto nel 1508 che Tiziano Vecellio, originario di Pieve di Cadore, celebrò in un grande dipinto.

Ed è qui, in questa cornice storica, tra cime selvagge e l’ampia vallata sul paese di Caralte di Cadore, che nasce e si sviluppa la storia di Renzo Zangrando e della volontà di combattere lo spopolamento in montagna. «Nei primi decenni del Novecento – racconta – il borgo era abitato da una trentina di persone che coltivavano la terra e allevavano le bestie. Vi erano alcune abitazioni, con gli annessi rustici, stalle e fienili, stabilmente occupati dalle famiglie “Da Damos”, tutte quindi con lo stesso ceppo originario dal quale poi è nato il cognome. Un equilibrio che nel tempo è diventato sempre più precario e che ha avuto il colpo di grazia con l’alluvione del 1966, portando non solo morte e distruzione, ma modificando profondamente anche la socialità. Fu allora che anche l’ultimo abitante rimasto fu portato in una casa di riposo e il borgo rimase disabitato». Una fine triste per un piccolo borgo, ma proprio da quella “sconfitta” si riaccese un filo di speranza quando, dieci anni dopo, lo zio di Renzo, Aldo Da Damos, decise di ritornare per rivedere gli antichi luoghi, ripulire i campi e i terreni dall’avanzare del bosco. E fu una fulminazione: Aldo decise di tornare ad abitare il vecchio borgo, restaurare l’antico fabbricato di famiglia. Una sfida impegnativa come unico abitante pur di salvare la memoria familiare fino ad un furioso incendio che qualche anno più tardi mando in fumo tutto quello che era stato ricostruito tra mille sacrifici. Tra le fiamme era finita una storia secolare. Ma è proprio in questo momento, quando tutto sembrava perduto che rinacque la speranza con un vero e proprio passaggio del testimone. A farsene carico è il nipote di Aldo, – il figlio di Renzo – Giacomo che, colpito da questa disavventura, decide di seguire il solco della sua famiglia e di scegliere il ritorno alla natura, al territorio e alla montagna, tornando ad abitare Damos.

Così, grazie all’intuizione della mamma Lidia, Giacomo partecipa al Piano di Sviluppo Rurale del Veneto (PSR), ottiene i fondi europei e avvia un’azienda agricola restaurando nuovamente l’edificio. «È faticoso ma ne è valsa la pena» racconta soddisfatto. «Noi coltiviamo diversi fiori: calendula, malva, iperico, echinacea, fiordaliso, menta, rose antiche, sambuco. Procediamo alla raccolta e all’essiccazione in laboratorio che ci consente di trasformarli in cosmetici per il corpo. Allo stesso tempo abbiamo dato il via a nuove coltivazioni: ortaggi, patate di montagna. Inoltre, con un estratto della patata, creiamo un bagno doccia e una crema per il corpo. Ora abbiamo aperto anche un punto ristoro, dove offriamo i nostri “fiori fritti” che sono molto gustosi e apprezzati dai nostri ospiti. Abbiamo inaugurato anche una falesia, una parete di roccia con più di 30 vie, dalle più facili alle più tecniche, pensata e chiodata dal maestro d’alpinismo, Diego Stefani. Siamo riusciti a far tornare la vita a Damos. E molti cadorini che vivono nei paesi limitrofi ci hanno sostenuto con grande passione».

E mentre Giacomo si impegna per ridare forza alle attività produttive, il papà Renzo punta a dare al piccolo Damos, una vocazione turistica valorizzando la chiesetta medievale immersa nel verde del “Pian delle Forche” poco sopra il borgo, cuore “sacro” di questo magico posto. In origine, intorno al 1348, l’edificio era un piccolo tempietto forse dedicato ai boscaioli impegnati nel trasporto via terra del legname mentre alla fine del 1500, risalgono la navata, il campanile e la sagrestia. All’interno uno stupendo affresco è stato scoperto effettuando dei lavori di sistemazione del vecchio altare in legno, raffigurante una “Crocifissione di Cristo tra la vergine dolente ed i Santi”. Secondo gli esperti, il crocifisso dipinto è il più antico del Cadore. Un luogo davvero incantevole che trasmette una incredibile serenità. Così, Damos è tornato a vivere grazie allo sforzo e all’impegno di una famiglia. Ed è qui che, ogni fine settimana, arriva un pullmino carico di amici di Giacomo, che risalgono la pianura veneta verso la montagna bellunese per dare una mano negli orti e a sistemare in generale l’azienda.  Portando con loro un carico di allegria, di simpatia e di nuova vita.

Giannandrea Mencini