Ai confini della Serenissima

Articolo uscito sul Gazzettino del 24 ottobre 2021

Cippo localizzato a Passo Montecroce Comelico

Sparsi fra le vallate delle nostre Dolomiti, nei verdi alpeggi di alta quota o nascosti all’interno di boschi e radure spesso impenetrabili e raramente attraversati da sentieri, da secoli giacciono conficcati nel terreno, numerosi cippi in pietra alti e ben strutturati, che segnano un antico confine dimenticato. Questi veri e propri monumenti storici, riportano scolpiti l’anno di collocazione, 1753, e il loro numero d’ordine, un codice alfa numerico: A1, B2, C3. Queste grandi pietre di confine, sono simboli di una passata memoria che ha contraddistinto, nel bene e nel male, la vita di molte popolazioni alpine. Per molto tempo queste opere sono state dimenticate riuscendo tuttavia, nella maggior parte dei casi, a passare quasi indenni innumerevoli eventi estremi di natura meteorologica o storica, come le due guerre mondiali. 

Oggi una importante iniziativa intende recuperare tale eredità culturale attraverso la creazione di un nuovo itinerario di montagna.

Nel panoramico Passo di Montecroce Comelico (1636 m), importante valico che separa le vallate Bellunesi del Comelico da quelle Altoatesine della Pusteria, si trova il cippo principale del tracciato di confine, localizzato fra i due edifici dell’albergo che sorge sul passo. Si tratta di un monumento, dal punto di vista storico, molto significativo, una volta ornato da due scudi con il leone di San Marco e lo scudo dell’Austria andati purtroppo perduti.

“Grazie all’Associazione Turistica di Sesto, il Comune austriaco di Kartitsch e il Comune di Comelico Superiore, che hanno unito le loro forze”, dichiara con molta partecipazione ed entusiasmo l’architetto Daniela Zambelli della Cooperativa Lassù di Padola, provincia di Belluno, “si è avviato un progetto, finanziato per circa 500 mila euro, nell’ambito del programma Interreg V-A Austria-Italia 2014-2020 (CLLD Dolomiti Live – Azione 1) per sottrarre all’oblio numerosi cippi che giacciono solitari nei boschi e pascoli, posti tra il 1753 e 1754 lungo il confine fra il Tirolo e Venezia”. Pertanto, l’obiettivo principale dell’iniziativa “è di raccontare questa parte della storia molto importante attraverso il loro restauro e renderli fruibili attraverso un nuovo sentiero paesaggistico, naturalistico e culturale, per far capire l’importanza di questi segni storici, simbolo di un territorio che si è trasformato nei secoli, sia dal punto di vista sociale che ambientale”.

Il progetto è stato preceduto da una attenta ricerca storica iniziata già nel 2016 con un finanziamento GAL (Gruppo di Azione Locale) che gestisce contributi europei erogati da fondi dedicati e che ha visto ricercatori e archeologi al lavoro con rilievi in alta quota usando i droni e operando in zone anche assai esposte e logisticamente difficili.  

In particolare, il gruppo di progetto multidisciplinare ha lavorato su 17 km di sentiero che dal Comune di Kartitsch arriva poco sopra il passo di Montecroce Comelico in direzione delle bellissime Crode Fiscaline che fanno da cornice a questo verde valico. 

L’’inizio del “Sentiero di confine”, non ancora segnalato, si stacca da una mulattiera ben indicata e molto frequentata che dal Passo porta gli escursionisti a raggiungere le conosciute e apprezzate Malghe di Nemes e di Coltrondo. L’’itinerario volge in direzione del crinale carnico addentrandosi nel fitto bosco fino ad incontrare, quasi subito, il primo di una serie di cippi in gran parte restaurati.

L’archeologo altoatesino Rupert Gietl di Arc-Team sottolinea che “dagli studi è emerso un aspetto molto interessante, ovvero dalla cresta carnica al Lago di Garda, si trovano tracce di una storia di confini lunga più di 2000 anni dal momento in cui i Romani si espansero verso nord-est formando la Decima Regio Augustea e creando una demarcazione nei confronti delle comunità retiche che vivevano nelle Alpi centrali. Questa linea di confine rimase per molto tempo anche dopo la fine dell’Impero Romano. Tuttavia in alta montagna, i confini erano più che altro naturali, pascoli oppure boschi, nelle cime ad esempio una volta non esistevano segni di confine, non troveremo cippi sulla Croda Rossa di Sesto o Cima Undici, per citare quelle più note della zona, perché a nessuno interessava. Inoltre, le alte montagne non erano un tempo frequentate, dal punto di vista religioso erano considerate come luoghi sinistri, da quei siti selvaggi arrivavano forti temporali, si staccavano le valanghe in inverno, si preferiva non salirci … non è un caso che sulle vette ci siano le croci, era per lasciare un segno contro le forze malvagie sprigionate dalle montagne stesse”.

Lungo il sentiero, superando radure davvero bucoliche e attraversando suggestivi corsi d’acqua, si possono scorgere anche delle rocce, in prossimità dei torrenti, con i caratteristi segni di confine e relative croci.

“Più in basso negli altipiani e nei passi, come Montecroce Comelico, nonché in generale lungo tutto il confine fra Tirolo e Repubblica Veneta” evidenziano Zambelli e Gietl “fin dal medioevo si litigava aspramente per guadagnare un paio di metri di pascolo. Nel 1500 vi erano grandi discussioni nelle vallate in quanto ogni ettaro in più di pascolo permetteva di passare l’inverno in modo più tranquillo. Tuttavia, i confini non erano ancora linee tracciate con esattezza matematica e il loro andamento assai mutevole si basava sulla memoria degli anziani, ovvero su certezze tramandate da una generazione all’altra. Per cui le risse, ad esempio, fra la comunità di Sesto e quella del Comelico, erano diffuse, in quanto i ricordi di una parte del confine non collimavano con quelli dell’altra. Alcuni documenti di archivio parlano addirittura di scontri violenti fra le comunità di Dobbiaco e Auronzo dove, per la disputa sui pascoli, talvolta venivano sequestrate intere mandrie di animali”.

 Fu proprio a causa dell’aumento delle violenze che Venezia e Vienna decisero di intervenire. Verso la fine della prima metà del 1700, fu formata su volontà dell’Austria e della Repubblica di Venezia una commissione frontaliera per risolvere definitivamente il problema. Nel 1752 fu fatta una prima mappa come base per la discussione e l’anno dopo nel 1753 fu creata la pianta definitiva con i nuovi confini. L’accordo fra le parti fu firmato a Rovereto e grazie a solo due estati di lavoro, tutti i cippi che indicavano il confine vennero posti lungo la linea che collegava la cresta carnica al lago di Garda”.

Il tratto attualmente percorribile, che completato nella sua interezza permette di raggiungere Kartitsch in Austria attraversando isolati altipiani e panoramiche creste, nella sua realizzazione ha portato alla scoperta di numerose postazioni della Grande Guerra e del vallo alpino di epoca fascista, a dimostrazione di come i cippi di confine, restaurati e resi visitabili, diventino il filo conduttore di un magnifico percorso che attraversa la storia ambientale e sociale delle nostre Dolomiti.